La mia prima volta a New York mi sono trovato in una situazione impossibile: vedere la città in due giorni e mezzo.
Ero andato a Chicago a Natale a trovare mia sorella e avevo previsto di passare una decina di giorni nella Grande Mela, sulla via del ritorno, grazie ad un’ottima combinazioni di voli e alla possibilità di acquistarli direttamente in dollari (il cambio euro/dollaro molto favorevole all’epoca), una possibilità che offre l’agenzia online Orbitz. Non vedevo l’ora di passare tanti giorni a New York, ma poi eccolo, l’intoppo: un imprevisto di lavoro e mi sono ritrovato a dover cambiare il volo di ritorno, partendo, per spendere meno, proprio la sera del 31 dicembre. Certo, mi dispiaceva non poter passare il capodanno a Times Square, ma soprattutto mi sembrava impossibile scegliere cosa vedere della città con così pochi giorni.

La scelta alla fine è stata obbligata: via tutti gli “interni”, anche se ciò significava esclusioni dolorose come quella del MOMA, e largo a tutti gli “esterni” possibili, che poi sono davvero tanti, in una città da film come New York. Trovato un posto di fortuna in un improbabile ostello a Hell’s Kitchen, l’unica mia arma sono diventati i piedi: pura esplorazione urbana, con il naso spesso all’insù, cercando di non farsi stordire troppo da scorci che sono già inquadrature cinematografiche e da quell’eterna sensazione di deja vu che ti prende in questa città anche se è la prima volta che ci vai. Di ciò che ho visto in quei tre giorni ho un ricordo vivido, ma nessuno quanto Central Park, un parco “impossibile” che in realtà è almeno quattro parchi diversi, a seconda della stagione. Il mio primo Central Park è stato quindi d’inverno, con le piste di pattinaggio su ghiaccio e la neve che cominciava a cadere ma che non si era ancora posata del tutto: magia allo stato puro. Sono tornato a casa con l’idea che, dovendo scegliere, quello era il “mio” posto di New York.

La seconda volta, qualche anno dopo, ho avuto a disposizione una settimana. Che è sempre pochissimo tempo per una città del genere, ma comincia ad essere qualcosa di più interessante e soprattutto gestibile. Stavolta la scelta è stata diversa: avendo trovato un’offerta online particolarmente aggressiva del New York Pass (una sorta di abbonamento ad più di 80 tra musei, attrazioni e attività varie) mi sono lanciato in un’iperattività sfrenata, facendo anche cose che non avrei mai fatto se non fossero state comprese nell’abbonamento.
Sono salito ad esempio su tutte le terrazze panoramiche a pagamento, scoprendo che New York dall’alto è un’altra città, anzi due: una di giorno e una di notte; oppure ho sfruttato tre diverse opportunità per vedere Manhattan dall’acqua, lasciando il cuore sul Clipper, un veliero a tre alberi che salpa al tramonto e ti fa venire voglia di non scendere più a terra; poi, certo, il MOMA e l’enorme Met, il ponte di Brooklyn, l’American Natural History Museum, l’imprescindibile Ellis Island, un musical a Broadway e ancora Central Park, ma stavolta in primavera. Ma soprattutto, ho scoperto un altro “mio” posto, uno di quelli che se devi consigliare ad un amico una cosa sola da vedere in città, fai molta fatica a non metterlo al primo posto: la High Line. Che in fondo è un parco lineare sopraelevato e neanche troppo lungo, ma è anche un micromondo, un progetto bellissimo gestito in gran parte da volontari, e, ancora, un altro punto di vista sulla città (ma quanti ne ha, di punti di vista differenti, che cambiano tutta la prospettiva, questa città?!?).
Questa volta è estate e ho quasi due mesi da passare a Gotham City. E quindi ci sarà spazio per luoghi, itinerari e punti di vista meno ovvi, per sorprese e detour, per esplorazioni più estensive e meno intensive. Sono sicuro che, mantenendo intatta la capacità di stupirsi, di incantamenti ne incontrerò ancora altri, e spero di riuscire a raccontarli come si deve!
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