Tutti ci ricordiamo dove eravamo quel giorno. Io l’11 settembre 2001 ero a casa convalescente, cercando di riprendermi da una fortissima reazione allergica ad un antibiotico che mi aveva quasi messo ko mentre ero a Venezia per la Mostra del cinema. Il momento dell’impatto del primo aereo l’ho quindi vissuto quasi in diretta, perché ero già davanti alla tv e, grazie al satellite, ho potuto seguire tutto dai canali statunitensi, soprattutto la CNN. Poi, dopo qualche settimana, sono arrivati i racconti di prima mano di un’amica che era lì (per fortuna lontano, all’aeroporto) tra l’altro il giorno del suo compleanno, e che è rimasta bloccata per giorni a causa della sospensione dei voli aerei.
“Siamo tutti americani” fu l’editoriale di De Bortoli sul Corriere della Sera del 12 settembre, che apriva a tutta pagina con un “Attacco all’America e alla civilità occidentale”. E se giustamente oggi si ricordano le vittime, cosa ne è di quel luogo dall’altissimo valore simbolico? Cosa è successo in questi 15 anni all’area del WTC? Se tanti dicono che il mondo quel giorno è cambiato per sempre, ciò a maggior ragione dovrebbe valere per New York, per Manhattan e per Lower Manhattan in particolare. Riempire il vuoto di Ground Zero non è stato un affare facile. Ritardi, problemi finanziari, un primo concorso per la riorganizzazione dell’area senza vincitori, cambi in corso d’opera hanno provocato polemiche su un nervo ovviamente scoperto, e per tanti anni Ground Zero è rimasto, appunto, un doloroso vuoto, nonostante le immediate promesse di ricostruzione. E a ricordarlo, pur se non nelle intenzioni, c’era ad ogni anniversario l’installazione luminosa Tribute in Light, con quelle torri proiettate verso l’infinito che contrastavano con il vuoto del cantiere. Dal 2004 esiste quanto meno il progetto di riordino dell’intera area, firmato dallo studio dell’architetto Libeskind, il quale ha acquisito notorietà internazionale con il museo ebraico di Berlino e con la sua sofferta rappresentazione della Shoah. Ma, anche con l’accelerazione dei lavori del nuovo decennio, ancora nel 2011 è stato abbattuto uno dei grattacieli del complesso del WTC che aveva subito danni indiretti dieci anni prima. Rispetto alle polemiche del 2008-2009 sul lento stato di avanzamento dei lavori, però, la situazione è comunque molto migliorata, e, dopo le prime inaugurazioni importanti, ora il completamento del Master Plan di Libeskind dovrebbe essere definitivo entro il 2021 (ad un certo punto si era parlato del 2036!)
9/11 Memorial: una piazza contemplativa
A cominciare a porre fine alle polemiche sulla riorganizzazione dell’area del WTC è stata l’inaugurazione, in tempo per il decennale del 2011, del Memoriale dell’11 settembre. Il progetto vincitore del concorso del 2003, opera di Michael Arad e Peter Walker, si chiama Reflecting Absence: vuole essere un luogo di contemplazione e di ricordo, con una sorta di grande piazza dalle ordinate file di alberi, interrotte solo dalle due enormi vasche, esattamente corrispondenti alle fondamenta delle Torri gemelle. In questi due grandi vuoti l’acqua scorre dall’alto e cade a cascata verso un grande buco centrale. L’effetto vuole anche essere quello, grazie al rumore dell’acqua che cade, di cancellare i suoni della città, in modo da accentuare il carattere contemplativo dell’area. Sui parapetti sono iscritti i nomi delle vittime, i 2977 caduti di tutti gli attacchi dell’11 settembre e dell’attentato del 1993, disposti uno accanto all’altro da un complicato algoritmo che tiene conto delle relazioni affettive o di lavoro e della probabile vicinanza delle vittime al momento della morte, nonché delle richieste successive dei loro parenti, in modo da creare degli “accostamenti sensati”.
L’idea sarebbe quella di mettere a contrasto il senso di vuoto e di perdita ben veicolato dai due grandi “buchi neri” verso i quali l’acqua scorre e si perde, con il senso di vita e rinascita degli alberi della piazza. In realtà finora (gli alberi cresceranno) l’effetto è forse più “tombale” rispetto alle intenzioni, anche se in momenti di grande afflusso turistico la confusione riesce ad annullare qualsiasi senso di raccoglimento. Tutto riacquista però molto più senso una volta usciti dal museo (vedi dopo), quando perfino il “Survivor Tree”, l’albero superstite ritrovato sotto le macerie e ripiantato qui nel 2010, è in grado di emozionare.
Il Memoriale è aperto al pubblico tutti i giorni dalle 7.30 alle 21, ora in cui l’intera area viene chiusa e il Memoriale sottoposto alle attente cure conservative notturne.
One World Trade Center: “freedom tower” o “shyscraper”?
I primi grattacieli del nuovo complesso WTC a essere finiti sono stati il palazzo n. 7 e il n. 4, il secondo più alto. Ma tutta l’attenzione (e le polemiche) della città e dei media si è comunque concentrata sul più importante tra essi, il One World Trade Center. Per molti anni noto come Freedom Tower, il grattacielo era destinato a raccogliere l’eredità delle Torri come palazzo più alto di New York e dell’emisfero occidentale. Un ruolo simbolico che certo non ha aiutato: già in fase progettuale ha dovuto scontare tanti cambiamenti, tanto che solo nel 2005 è stato approvato quello definitivo dell’architetto David Childs, con molte differenze rispetto all’idea originaria prospettata da Libeskind. Anche i lavori, iniziati nel 2006, hanno dovuto subire ritardi e variazioni in corso d’opera, tanto che l’apertura, prevista per il 2012, è avvenuta solo alla fine del 2014.
Ma le polemiche non sono finite qui: contestazioni sulla sua effettiva altezza (l’ultimo piano è alto come le vecchie Torri, ma molti dubitano che si possa contare anche l’antenna, con la quale raggiunge il numero simbolico di 1776 piedi, senza la quale One WTC non sarebbe neanche il grattacielo più alto di New York e solo il quarto degli Stati Uniti), sulla sua estetica (tra i più cattivi c’è stato l’artista inglese Bansky, che lo ha soprannominato “shyscraper” – un gioco di parole con “skyscraper”, grattacielo, diciamo un “gratta-timido”? – per la mancanza di coraggio e considerato addirittura un tradimento di tutti coloro che hanno perso la vita nell’attentato), perfino sulla qualità del ristorante panoramico paragonato con quello delle Torri!
La mia impressione, assolutamente da non addetto ai lavori, è che si tratti effettivamente di un progetto un po’ tozzo e poco coraggioso (soprattutto se confrontato con le primissime idee di ricostruzioni, affette da evidente megalomania), ma acquisisce un suo senso visto da lontano o quando riflette nuvole e colori del cielo. Non sono stato nell’Osservatorio (aperto dalle dalle 9 alle 20, biglietti da 34 a 61 $ a seconda dell’orario) che promette un panorama incredibile, né quindi nei tanto bistrattati ristoranti panoramici, quindi non posso dire niente al riguardo!
9/11 Museum: una sorpresa positiva
Anche il museo dell’11 settembre ha dovuto subire fin dall’inizio ritardi e contestazioni, dovute alla ripartizione dei costi tra le varie agenzie coinvolte nella ricostruzione e nella proprietà dell’area. Inaugurato solo nel maggio 2014, il museo, progettato da Davis Brody Bond, è completamente sotterraneo, essendo costruito attorno alle fondamenta delle due Torri.
Per un impegno che non potevo rimandare ho potuto dedicare al museo solo un paio d’ore (a parte l’ora abbondante di fila per entrare nel giorno di apertura gratuita), quando invece meriterebbe una visita di almeno una mezza giornata, motivo per cui conto di ritornarci. Anche perché devo ammettere che lo spazio espositivo in sé e l’allestimento del museo mi hanno colpito positivamente. Mi aspettavo un luogo gonfio di retorica e nazionalismo e invece mi sono sorpreso a vagare per enormi spazi vuoti, pensati in modo da ricreare la sensazione di incertezza di un luogo sotto attacco, con le travi di acciaio ripiegate su se stesse a testimoniare la violenza di ciò che è successo. Fa impressione il grande muro/diaframma che era servito per proteggere le fondamenta delle Torri dal fiume Hudson, rimasto intatto, e per altri motivi i filmati d’epoca di presentazione delle due Torri.
Ma poi sono le due grandi esposizioni a costituire il cuore del museo, allestite nello spazio delle fondamenta delle due torri, sotto quindi le vasche del memoriale. La prima, la Memorial Exhibition, è dedicata alle vittime, con un enorme muro fotografico e le storie di ciascuna delle quasi 3000 vittime. La seconda, la Historical Exhibition, è particolarmente impressionante, soprattutto nella sua prima sezione, un vero e proprio viaggio all’interno del giorno più lungo della storia statunitense, capace di riportare perfettamente la confusione anche emotiva degli eventi di quel giorno. Ho avuto poco tempo per vedere le altre due sezioni, dedicate rispettivamente al “prima” e al “dopo” l’11 settembre. L’impressione che ho avuto è stata comunque quella di un’esposizione discretamente equilibrata dei fatti, anche laddove sono scomodi (vedi i finanziamenti ad Al Qaeda per combattere i russi in Afghanistan). E in generale un atteggiamento non troppo retorico e molto sensibile e rispettoso non solo delle vittime ma anche del visitatore, che sia o meno coinvolto nei fatti direttamente (e di parenti, amici o conoscenti delle vittime ce ne sono ovviamente tantissimi) o indirettamente (magari anche solo in quanto abitante della città). Avvisi o apposite nicchie prima di mostrare immagini particolarmente dure sono prevedibili, ma colpisce ad esempio la presenza discreta di piccole scatole di fazzolettini poste nei punti strategici. Così come mi sembra decisamente ben pensata la grande sala all’uscita dall’esposizione storica, che è davvero una sorta di camera di compensazione dove riprendersi (perché è impossibile non rimanere sgomenti, anche se ci sembra di sapere già tutto e di avere già visto tutto sull’argomento) prima di uscire all’aria aperta e guardare con occhi diversi anche la piazza del Memoriale.
Il museo come dicevo non è stato esente da polemiche (su costi e tempi di realizzazione, sul costo del biglietto, sull’omissione del ruolo storico della cosiddetta Little Syria, cuore della vita di immigrati arabi e loro discendenti in parte coincidente con l’area del WTC) ma rimane essenziale per cercare di capire meglio cosa è successo quel giorno, con una collezione davvero molto ricca e piena di sfaccettature. E’ aperto tutti i giorni dalle 9 alle 20 (venerdì e sabato fino alle 21) e i biglietti partono da 24$. Anche se un po’ nascosto nel sito, c’è anche la possibilità di ingresso gratuito ogni martedì dalle 17, con i biglietti distribuiti a partire dalle 16.
Le nuove aperture: Oculus, Liberty Park e il “cubo”
I lavori nell’area sono tutt’altro che finiti, anche se ora si ha meno la sensazione di grande cantiere all’aria aperta rispetto a qualche anno fa. Nel corso degli ultimi mesi sono stati inaugurati il Liberty Park, un grande parco sopraelevato in stile High Line che si affaccia sul Memoriale e il grande hub di trasporti di Calatrava denominato “Oculus”, di cui vi parlerò a parte perché ho vissuto in diretta, passandoci ogni giorno, le fasi finali del cantiere e la seconda inaugurazione, quella delle attività commerciali all’interno del complesso.
Mentre nuovi occupanti arrivano nei grattacieli già inaugurati, come la seconda sede newyorkese di Eataly nel WTC 4, mancano all’appello ancora i palazzi WTC 2 e 3, oltre al grande parcheggio del Vehicular Security Center, non ancora aperto, e la chiesa greco-ortodossa di St. Nicholas, in costruzione sempre su disegno di Calatrava. Ma ancora si continua a progettare, se è vero che il Performing Arts Center, inizialmente ideato da dallo studio Gehry e abbandonato poi anche a causa di una riduzione del budget previsto, è stato completamente riprogettato, svelando un enorme “cubo” dedicato soprattutto al teatro, che sarà inaugurato entro il 2019 e avrà come primo presidente Barbra Streisand. Una nuova apertura che segnerà in maniera evidente il cambiamento di un’area che, da centro della finanza globale, ha adesso cambiato volto come tutta Lower Manhattan, diventato uno dei quartieri più dinamici della città.
Infine, per tornare all’11 settembre, una piccola citazione di una delle riflessioni più interessanti sul significato di quel giorno, scritta da Slavoj Žižek pochi mesi dopo l’attentato. Il filosofo e psicanalista sloveno, rispondendo alla reazione comune di fronte a quelle immagini (“E’ come un film”), traccia un paragone con il protagonista del film Matrix nel momento in cui si ridesta nella desertificata “realtà reale”:
Morpheus, il capo della resistenza, pronuncia l’ironico saluto: “Benvenuto nel deserto del reale!”. Non è successo qualcosa di simile a New York l’11 settembre? I suoi abitanti sono entrati nel “deserto del reale” mentre a noi, corrotti da Hollywood, il panorama e le scene che abbiamo visto delle torri che crollavano non potevano che far venire in mente le scene mozzafiato delle grandi produzioni di film catastrofici […] (da 1997 – Fuga da New York a Independence Day). […] Si dovrebbe quindi rovesciare l’usuale interpretazione secondo cui l’attacco al World Trade Center ha costituito l’intrusione del Reale che ha sconvolto la nostra Sfera illusoria: al contrario, noi vivevamo nella nostra realtà prima del crollo delle torri, e vedevamo gli orrori del Terzo Mondo come qualcosa che non appartiene effettivamente alla nostra realtà sociale, come qualcosa che esiste (per noi) come un’apparizione spettrale sullo schermo (televisivo). Quel che è successo l’11 settembre è stato l’ingresso nella nostra realtà di quell’apparizione fantasmatica sullo schermo. Non è successo che la realtà sia entrata nella nostra immagine, ma che l’immagine sia entrata e abbia sconvolto la nostra realtà (cioè le coordinate simboliche che determinano quel che sperimentiamo come realtà).
(Slavoj Žižek, Benvenuti nel deserto del reale. Cinque saggi sull’11 settembre e date simili, Meltemi 2002, pp. 19-20)
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