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New York

Le elezioni che non ti aspetti

27/09/2016 Ancora nessun commento
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Stanotte ho seguito il primo dibattito elettorale delle presidenziali americane, che la CNN presentava come “the most anticipated moment in modern US politics”. 160926171058-presidential-debate-tonight-promo-t1-overlay-teaseVero e proprio grande evento mediatico, il dibattito prometteva di stracciare tutti i record di ascolti, sfondando il muro dei 100 milioni di spettatori americani, ovvero il pubblico dell’evento televisivo dell’anno, il Super Bowl. E in effetti l’associazione con lo sport non è poi così peregrina: grandi star, sponsor, tanti soldi, il ruolo delle tv e soprattutto il tifo. Tifo che, per l’importanza che le elezioni hanno anche al di fuori degli Stati Uniti, ma anche per le modalità comunicative delle stesse, travalica i confini nazionali. E’ come le grandi squadre di calcio, il Manchester City o il Real Madrid, che hanno tifosi in tutto il mondo. Più che di football o di calcio, però, qui la presentazione dell’evento mi è sembrata essere quella tipica di un grande incontro di boxe, con i candidati (più la Clinton di Trump in questo caso, e si è visto) che si sono preparati con gli allenatori per l’incontro tanto atteso, i loro supporter equamente divisi tra il pubblico dal vivo, una sorta di arbitro e anche la possibilità di scommettere sul vincitore. Persino l’immagine pubblicitaria del dibattito sembrava più adatta allo scontro per il titolo mondiale di pesi massimi, magari in un infuocato Madison Square Garden, che non ad una battaglia dialettica in una compassata università di Long Island. Il Non Politico contro la Prima Donna. Davvero, mancava solo la telecronaca, anche se per questo esiste Twitter. Per il resto, al suono della campanella se le sono data di santa ragione, come lo spettacolo richiede, e anche se non c’è stato un vero e proprio k.o. c’è stata una vittoria ai punti, con i candidati che poi alla fine, tolti i guantoni, sono scesi fisicamente dal ring per abbracciare i loro secondi, anzi pardon i loro familiari.

L’occasione comunque mi sembra giusta per raccontarvi delle tante volte in cui, durante l’estate passata a New York, mi sono imbattuto nelle elezioni presidenziali, anche in luoghi e modalità inaspettate. C’è una premessa da fare: per come sono organizzate le elezioni, l’estate è in teoria il momento di pausa dopo la maratona delle primarie e prima della corsa autunnale, quando l’attenzione si sposta dall’interno dei due grandi partiti all’esterno, verso il confronto tra i due candidati, scandito dai dibattiti televisivi. 20160722_171706Certo, luglio è il mese delle convention dei due partiti, ma si tratta solo di certificare un candidato che è stato già deciso il più delle volte tra marzo e aprile. Proprio per questo motivo non mi aspettavo di avere a che fare così spesso con la politica, e certamente non così tanto fuori dai canali e dagli spazi deputati.

Voglio dire che trovare, durante una gita a Philadelphia pochi giorni prima della convention democratica, la città invasa dagli asinelli democratici multicolori per il progetto Donkeys in town (57 asini a rappresentare tutti gli stati e i territori degli Stati Uniti, ognuno dipinto da un diverso artista e posizionati in vari punti della città) ci poteva decisamente stare, era divertente ma prevedibile. 20160722_000300

Meno scontato è invece a New York trovare per caso un negozio di articoli per animali che ha in bella mostra in vetrina dog e cat toys elettorali, ovvero pupazzetti di stoffa di Donald Trump, Bernie Sander e Hillary Clinton da affidare alle grinfie dei propri cani e gatti. Non so in questo caso come funziona: si prende quello del candidato che si vuole far perdere, per vederlo seviziato dal proprio animale domestico? Non ho approfondito la questione. E come mai Bernie Sanders accanto a Trump, con Clinton solo sullo sfondo?
img_5664

A Boston invece ho trovato una maglietta elettorale (anche se generica sui partiti e i loro animali simbolo e non sui candidati) nel posto più improbabile: nel bookshop del museo della scienza. Una maglietta che potrebbe tranquillamente far parte dell’incredibile collezione dello Sheldon di The Big Bang Theory.

Gli slogan elettorali sono particolarmente presi di mira per essere storpiati o riutilizzati. 20160813_174525Così nella vetrina di Strand, una delle mie librerie preferite di New York, c’erano tutta una serie di oggetti con lo slogan “Make America Read Again” sulla scorta dello slogan di Trump (“Make America Great Again”), naturalmente vicino a libri di approfondimento sulle stesse elezioni.

20160731_153611Una maglietta particolarmente geniale l’ho trovata in un centro commerciale, da un negozietto che vendeva t-shirt abbastanza insulse, di quelle da bancarella per intenderci. Eppure c’era questa che ho trovato molto divertente: riprendeva la grafica del famoso poster di Fairey della prima campagna di Obama, quello stilizzato con pochi colori primari e la grande scritta “Hope”, adattandola ad un Trump con il ciuffo al vento e la scritta “Nope”.

20160814_175340Obama tra l’altro, pur non candidato e quindi “fuori concorso”, lo devo citare per questa enorme scritta che ho trovato sul muro esterno di una casa a Brooklyn, decisamente più appariscente e invasiva della solita bandiera o simbolo elettorale! 20160813_193454Mentre Michelle Obama ha evidentemente trovato fortuna con la sua riuscitissima frase pronunciata durante la convention democratica, “When they go low, we go high“, riferita ai numerosi colpi bassi di Trump: l’ho scovata su tanti manifestini in giro per la città.

Endorsment sono arrivati nei luoghi e nei momenti più improbabili. Durante una rappresentazione del Mercante di Venezia per Shakespeare in the Parking Lot, la Drilling Company è riuscita a usare le parole del testo di Shakespeare in aperta chiave anti-Trump, anche grazie all’ambientazione contemporanea dell’opera teatrale nel Lower East Side della finanza. E, per chi non l’avesse colta, hanno rincarato la dose nei saluti finali dopo gli applausi. Perfino durante un corso alla New York Public Library sulla storia degli Stati Uniti le elezioni hanno più di una volta fatto capolino, con dichiarazioni piuttosto univoche. La mia impressione è stata duplice: da un lato nessuno teme di dichiarare pubblicamente la propria preferenza politica, cosa che da noi non è così scontata; dall’altra che in questa elezione più che in altre la necessità di una presa di posizione sembra come più sentita, soprattutto da chi considera Trump un vero e proprio pericolo e non solo un avversario politico. Esempio perfetto è Patti Smith, che al concerto di apertura della stagione all’aperto del prestigioso Lincoln Center non ha lesinato, tra una canzone e una poesia, critiche a Trump, partendo dall’attualità del discusso invito di un consigliere del candidato a fucilare la Clinton per alto tradimento. Un’indignata Patti Smith si è lanciata così in un accorato j’accuse che partiva da una semplice dichiarazione: “This isn’t the American way”, perché la politica non è una guerra che prevede l’annientamento dell’avversario. Che poi, detto tra parentesi, i colpi bassi di Trump o gli inciampi della Clinton non sembrano una novità così eclatante, almeno a giudicare dall’impressionante collezione di orrori del libro di Joseph Cummins, Anything for a Vote: Dirty Tricks, Cheap Shots, and October Surprises in U.S. Presidential Campaigns.

img-20160926-wa0001-2Poi c’è l’ultimo aspetto, quello di riuscire a trasformare tutto, compresa la politica, in merchandising. Voglio dire che nessuno di noi esporrebbe le “insegne” di un politico o di un partito di casa nostra al di fuori di una manifestazione o di congresso (e anche lì con qualche imbarazzo), mentre qui si producono, vendono e usano tutta una serie di oggetti che sono esposti un po’ dappertutto. Tazze, pupazzetti, adesivi, spille, libri a fumetti, cartoline e biglietti di auguri, perfino orrendi calzini con le facce dei candidati da far spuntare sulle caviglie, ma soprattutto libri da colorare. Ora io già non riesco a capire tanto questa moda dei libri da colorare, ma se deve servire a rilassarti che fai, colori la faccia della Clinton o di Trump? Mi sembra una vera e propria perversione!

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