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Italia

Festival della letteratura di viaggio

08/10/2016 Ancora nessun commento
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Una decina di giorni fa si è chiusa a Roma la nona edizione del Festival della letteratura di viaggio, un festival che ho cercato di seguire con attenzione fin dagli esordi.

Sono almeno tre i motivi per cui mi piace molto.

Innanzi tutto, a dispetto del nome, non è solo un luogo dove ascoltare presentazioni di libri. Infatti il viaggio e la sua narrazione sono intesi qui in modo molto ampio, per cui si incontrano vari tipi di viaggiatori (non necessariamente nello spazio, ma anche nel tempo, nella cronaca e nell’immaginazione) che raccontano il loro cammino con mezzi diversi, non confinati alla letteratura ma che coinvolgono anche reportage, fotografie, illustrazioni, video, musica.

In secondo luogo, il luogo. Voglio dire, normalmente iniziative di questo genere si tengono al chiuso di fiere, auditorium o spazi multifunzionali, mentre qui si sfrutta la cornice unica di Villa Celimontana e della Palazzina Mattei, sede della Società Geografica Italiana, ente promotore del festival. Se il bel tempo romano non fa scherzi seguire incontri e laboratori nel parco è un gran bel lusso. Senza scomodare il festival di Internazionale a Ferrara o il festival della letteratura di Mantova, a Roma solo Letterature alla Basilica di Massenzio può rivaleggiare in quanto a location.

Infine, mi piace molto come sono pensati e condotti gli incontri, che sono il vero cuore del festival. Il merito va tutto a Tommaso Giartosio, che oltre ad essere uno scrittore e conduttore radiofonico è davvero un moderatore perfetto: colto, poliglotta, preparato e attentissimo, fa sempre delle domande interessanti e centrate senza mai prendere troppo spazio all’ospite o dover dimostrare di saperne più degli altri (qualcuno ha detto Marino Sinibaldi, per caso?). Ecco, non so, dopo un fine settimana passato a Villa Celimontana mi viene voglia di fargli moderare qualunque cosa, dalle riunioni di condominio ai dibattiti elettorali, penso se la caverebbe egregiamente anche lì!

Uno degli incontri che mi è piaciuto di più è stato quello con Gaia Ferrara e Gianluca Caporaso. Gaia la definirei una viaggiatrice in bici solidale, perché le sue lunghe traversate in bicicletta hanno sempre una finalità sociale, come i 1200 km percorsi in bici nel sud Italia per sensibilizzare sulla tragedia di Portopalo o le altre iniziative portate avanti con la sua associazione viandando che le hanno fruttato il premio come cittadina europea del 2015. Gianluca viaggia decisamente più con l’immaginazione che nella realtà grazie alla sua geofantastica, che potrebbe tranquillamente essere materia di studio nel Collegio di Alti Studi Patafisici. Così nel suo libro Appunti di geofantastica c’è la storia di Ischia, la città che ha perso la prima lettera (era forse Mischia? o Fischia?) e i cui abitanti parlano quindi il secondario, una lingua dove tutte le parole perdono la prima lettera, generando grandi confusioni sui monosillabi come “zio”, “Dio” e “io”; o la storia di Cosenza, la città senza cose, o di Corsano, la città della salute, e così via. Gaia e Gianluca hanno animato un incontro di opposti, tra reale e immaginario, riuscendo a completarsi perfettamente tra il sudore molto concreto della biciclettate dell’una e i divertissment “da scrivania” dell’altro, e non poteva non piacermi questo contrasto tra due anime del viaggio che dichiaro di amare fin già dal sottotitolo del blog.

festival-lett-viaggio

Un grande viaggiatore/narratore come Paolo Rumiz ha avuto l’onere e l’onore di aprire e chiudere il festival, presentando una mostra, quella raccontata nel libro Appia, e la raccolta L’Italia in seconda classe: viaggi a piedi e viaggi in treno, l’Italia e l’Europa, e un Rumiz che ormai è un vero e proprio mattatore che tiene il palco da solo come un attore consumato. Mi piacerebbe molto fare un tratto a piedi con lui, che compagno di viaggio straordinario deve essere!

Altri due viaggiatori/narratori che mi hanno colpito sono stati Riccardo Carnovalini ed Elena Sacco. Riccardo è un grande camminatore che ha seguito sentieri europei ma soprattutto ha battuto strade italiane, realizzando grandi progetti come Camminamare, 4.000 km di costa da Trieste a Ventimiglia, o la traversata di tutte le Alpi e gli Appnnini da capo a capo: mi è piaciuta soprattutto l’idea che il viaggio a piedi possa cominciare dalla porta di casa, compresa l’uscita in apparenza difficoltosa dalla grande città. Elena parrebbe una tipica esponente della categoria “mollo tutto e parto”, perché ad un certo punto ha lasciato il suo lavoro di pubblicitaria ed è partita in barca a vela con marito, figlia di sette anni e figlio ancora neonato: sette anni in giro per il mondo, il sogno di libertà di tanti, eppure tanto spazio nel libro Siamo liberi: sette anni in barca e l’avventura del ritorno è dedicato al momento in cui la famiglia decide di tornare e al significato di questa scelta.

Una scoperta è stata l’incontro con Cesare De Seta, professore di storia dell’architettura che ha dedicato al viaggio un libro di cui vi parlerò presto.

Infine ci sono stati i premi. Il premio #InWebWeTravel dedicato al miglior post di viaggio sul web è andato al bel Chiosco abusivo con vista sul Kosovo del blog Per Aspera ad Est; il premio Navicella d’oro è andato a Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa già visto in Fuocoammare di Rosi; i premi Kapuściński sono andati a Letizia Battaglia e Massimo Sestini per la fotografia, Zerocalcare per il reportage a fumetti, Corrado Formigli per il reportage televisivo e Wojchech Tochman per il reportage letterario.
L’obiettivo che mi sono dato è, per l’anno prossimo, avere un bel post di cui sono soddisfatto per partecipare al concorso #InWebWeTravel!

lett-1-2I punti deboli dell’edizione di quest’anno sono stati due: le mostre fotografiche, secondo me non all’altezza del programma del festival, e che devono per di più scontare anche le difficoltà dell’allestimento in una location già tanto “carica” come la biblioteca della Società Geografica Italiana, per cui a volte si è più attratti da ciò che sta dietro e attorno alle foto che non alle foto stesse; e il ricorso (forse dovuto a un budget ristretto, almeno spero) a interpreti per gli ospiti stranieri decisamente non all’altezza del compito, tanto che ad un certo punto si è deciso di far tradurre direttamente dal buon Giartosio, davvero multitasking! Però è un peccato cadere in questi errori perché una traduzione sbagliata infastidisce chi riesce a seguire l’ospite nella sua lingua e falsa completamente l’esperienza di quella parte del pubblico che si affida all’interprete, oltre ad impedire un dialogo corretto tra gli ospit sul palco.

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