Chiang Mai, dunque. Pur non avendo letto molto da casa, è da quando ho cominciato a pensare al viaggio nel sud-est asiatico che mi sembrava un posto dove valesse decisamente la pena di passare un po’ di tempo. Quando poi il viaggio ha preso la forma attuale (be’, più o meno), questa era la città dove avevo appuntamento con Gerard, prima che rimandassi la partenza. Avevo scelto Chiang Mai perché è dotata di un aeroporto molto frequentato (è di gran lunga la destinazione turistica più importante della Thailandia a nord di Bangkok) e perché mi sembrava un ottimo posto dove eventualmente aspettare qualche giorno. I pochi racconti di viaggio letti prima di partire parlavano tutti di una città molto rilassante, a misura di turista, con un’offerta di attività davvero estesa. Infatti la bella atmosfera, le tante escursioni possibili nei dintorni, il fatto che riesca ad avere una grande offerta pur senza essere troppo grande da non essere girata a piedi o in bici, rendono Chiang Mai una città perfetta anche per chi vuole rimanere un po’ nello stesso posto e fare un corso di una settimana o più. Anzi, avevo accarezzato l’idea di farne effettivamente uno anche io, pur non avendo ancora deciso se di cucina o di massaggio.
Insomma, un po’ di aspettative le avevo riposte, in questa città, che è il modo migliore per rimanere delusi. E invece Chiang Mai mi è piaciuta tantissimo e ho deciso di tornarci quanto prima e passarci un po’ di tempo, perché mi sono reso conto che il nord della Thailandia merita un viaggio a parte, magari attrezzato meglio per fare escursioni naturalistiche. Qui infatti ci sono tanti parchi protetti e bellissime montagne, abitate per lo più dalle cosiddette “hill tribes”, minoranze con storia e tradizioni completamente diverse da quelle thailandesi, arrivati qui dalla Birmania, dal Tibet o dalla Cina. Insomma, Chiang Mai mi ha stregato e ha superato qualsiasi mia aspettativa. E’ difficile spiegare esattamente perché: non c’è nella città niente di imprescindibile da visitare, salvo forse uno storico tempio con dei bellissimi affreschi, il Wat Phra Singh; si tratta più che altro dell’atmosfera che si respira, che sembra quasi quella dei piccoli paesi balneari, con le sue stradine strette piene zeppe di caffè, guesthouse, negozietti e ristorantini, tutti molto alla moda senza farvelo pesare troppo, però. Ci sono sì tanti turisti ma non c’è una vera e propria enclave, come in altre città: tutto il centro storico, circondato da canali che seguono il percorso delle vecchie mura cittadine, è una scoperta continua senza essere del tutto abbandonato dai locali, ma anche uscendo dalle mura ci sono tante stradine da esplorare. La sera c’è l’imbarazzo della scelta, c’è tanta musica dal vivo e si può stare fuori fino a tardi, ma senza la confusione, lo smog e le distanze di Bangkok. Tutto è più semplice qui soprattutto perché nel centro c’è pochissimo traffico di auto, e le strade è come se fossero virtualmente pedonalizzate, una rarità in Thailandia. Le distanze per di più sono tali che non c’è bisogno di nessun mezzo di trasporto alternativo ai propri piedi.
E la cosa incredibile è che ho avuto questa sensazione di grande rilassatezza e di una città dove tutto è “facile” e senza stress, pur essendo noi arrivati durante una vera e propria tempesta perfetta: la combinazione dell’alta stagione turistica, del fine settimana, del periodo del capodanno cinese (quando la Cina va in vacanza) e infine di un festival molto sentito, il Flower Festival. Quindi nonostante per motivi vari siamo stati costretti a cambiare ben tre alloggi (anche a causa del continuo procrastinare del momento della partenza…) sono uscito dalle cinque notti a Chiang Mai riposato come dopo una settimana alle terme.
Faccio un po’ fatica a condensare in un solo post i giorni passati qui, anche perché di attività ce ne sono state tante e varie, per cui credo che solo per questa volta passerò il turno, in attesa di avere il tempo di scrivere tre o quattro diversi articoli una volta tornato a casa. Ne approfitto però per raccontarvi di due incontri divertenti, anche perché la cosa bella di Chiang Mai ha qualcosa da offrire pressoché a tutti, per cui c’è un gran bel miscuglio: da cultori della meditazione vipassiana a semplici curiosi che vogliono solo poter scambiare due chiacchiere con i monaci, da amanti dell’arte a edonisti trasgressivi, da appassionati di escursioni di montagna a chi è in cerca di avventure ad alto tasso di adrenalina, da giovanissimi ad anziani, a Chiang Mai tutti trovano pane per i loro denti.
Il primo è stato sul treno che abbiamo preso per andare a fare un piccolo trekking fai da te, l’unico che sembrava fattibile senza appoggiarsi ad un tour organizzato o senza avere un proprio mezzo di trasporto. Sul nostro bel treno locale di terza classe (che, come detto, è sempre meglio dello Special Train!) c’era parecchia gente, e ad un certo punto si avvicina a noi una bimba cinese di circa 6 anni che timidamente ci rivolge qualche domanda in inglese. Dopo poco ci raggiunge la sua maestra e ci spiega che sta accompagnando la classe in una gita scolastica di una settimana: sono tutti bimbi di età compresa tra i 5 e i 7 anni. Tutti studiano inglese ma, venendo da Kunming, nel sud-ovest della Cina, hanno poche possibilità di praticarlo. Dopo pochi minuti siamo letteralmente presi d’assalto, con i bambini che in realtà si accontentano di presentarsi, dire il proprio nome e la propria età, e poi di stringerci la mano con un “nice to meet you”, ma poi passano velocemente alle canzoni e allora la faccenda si fa davvero divertente. I bimbi sono adorabili e la maestra è contentissima quando scopre non solo che Gerard vive a Melbourne, dove lei ha studiato inglese, ma che hanno frequentato persino la stessa università. Alla fine ci fanno compagnia fino alla loro fermata, poco prima della nostra, dove, ci spiegano, portano i bimbi (così piccoli!) a fare un corso di cucina thailandese…
L’altro incontro avviene invece in un bar di Chiang Mai, davanti ad una birra, mentre aspettiamo l’orario di inizio di una serie di incontri di Thai Boxing, che qui si chiama in realtà Muay Thai. Un tizio americano di mezza età, molto simile al Jeff Bridges del Grande Lebowski, se ne sta seduto al bancone e presto attacca bottone, finendo per sedersi al nostro tavolo. E’ quello che una mia conoscente definirebbe un “figlio dei fiori sfiorito”, un 53enne di Boston capelli e barba lunga che, ci tiene a precisare, vive ancora nello scantinato della casa di genitori. Ci racconta di com’era la Thailandia che ha visitato due volte più di venti anni fa e di quanto sia cambiata, e in realtà mentre racconta io me lo immagino che arriva qui negli anni ’90 pensando che siano i ’70, in cerca di chissà cosa allora e adesso probabilmente di quel se stesso più giovano di 20 anni. Ce l’ha un po’ con i thailandesi e pare si sia messo più volte nei guai, ma, pur facendo la tara ai suoi racconti, non stento a credere che sia vero, almeno a giudicare dalla sua apparente ingenuità. Poi, dopo aver scolato la sua ennesima birra, ad un certo punto se ne va lamentandosi dell’imborghesimento di Chiang Mai, sostenendo che non riesce più a trovare i go-go bar di una volta in mezzo ai tanti locali alla moda e che quindi ha deciso di chiedere ad un autista di tuk-tuk, che sicuramente saprà dove portarlo… A noi sembra il modo migliore per continuare a ficcarsi nei guai, perché già i go-go bar sono una macchina spilla soldi, e gli autisti di tuk-tuk sono già di loro abili raggiratori, ma evidentemente un po’ se la va a cercare…
In attesa di racconti più dettagliati dei giorni di Chiang Mai, intanto vi metto qui un po’ di foto varie.
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