Entrambe le mie guide descrivono Vientiane come la capitale più modesta e sonnolenta del sud-est asiatico, ma a me non ha fatto questa impressione. Venendo da Luang Prabang e da Vang Vieng, dopo aver attraversato un po’ di Laos rurale, infatti, si respira appieno l’aria cittadina. E’ certo una strana capitale, affacciata sul Mekong che è qui di nuovo confine con la Thailandia: insomma in una regione storicamente non proprio priva di imperi e guerre, una capitale a ridosso del confine non è proprio il massimo della vita…
Vientiane è anche il luogo del Laos dove più evidenti sono le contraddizioni di questo paese, formalmente ancora uno dei pochi a dichiararsi comunisti, ma dove di comunismo non c’è granché traccia, se non nelle bandiere con la falce e il martello che un po’ anacronisticamente campeggiano vicino a quelle nazionali. Un comunismo ultra-ortodosso e fallimentare non è durato che quattro anni, tra il 1975 e il 1979, poi le prime riforme economiche, completate a metà degli anni ’80 sulla scorta dell’apertura al mercato della Cina, hanno del tutto allontanato qualsiasi ricordo di proprietà statale e di mezzi di produzione collettivi. Vicino alla stazione degli autobus locali ci sono due grandi centri commerciali, uno davvero nuovissimo, dove non solo i thailandesi in cerca di affari ma anche i laotiani arricchiti possono pienamente soddisfare i loro istinti consumistici come in qualunque paese capitalista. Ma forse ancora più esemplare è il Museo nazionale, che, a parte una pur interessante parte storico-archeologica sulle origini del paese, è più che altro un museo della Rivoluzione. Ero molto curioso di confrontarlo con l’equivalente de L’Avana, ma devo dire che in questo, come in molte altre cose, i cubani vincono a mani basse: lì un inaspettato revisionismo e pure qualche piccola autocritica, e un museo vivo, ricco e ben allestito; qui un museo squallido e un po’ abbandonato, che fa ricorso solo a fotografie e neanche originali per raccontare una versione della storia ferma appunto agli anni ’70, anche nella terminologia. Fa un po’ tenerezza vedere miti e simboli del comunismo internazionale impolverati quasi per un impietoso giudizio storico, fa sorridere l’ingenuità del racconto della rivoluzione comunista in Laos (che non fa menzione naturalmente di quanto il paese sia stato in realtà eterodiretto in quanto campo da gioco preferito di Thailandia e Vietnam), e fa francamente ridere il piano dedicato alle vittorie della rivoluzione, che forse avevano un minimo di senso 30 anni fa: foto di enormi pc anni ’80 nelle classi, l’apertura di un ufficio postale, addirittura la rivoluzione del fax! E questo solo per quanto riguarda la sezione organizzata dal ministero delle poste e telecomunicazioni, ci sono chicche anche in quelle degli altri ministeri. Come se non bastasse, c’è il negozio di souvenir più triste dell’universo!
La cosa più divertente di tutte è stato però osservare con quanta dedizione viene festeggiato San Valentino: tutti i negozi e ristoranti che fanno offerte speciali, sconti dappertutto, menu a tema, grandi cuori che spuntano ovunque, e soprattutto centinaia di bancarelle per strada che vendono solo tre cose: cioccolatini a forma di cuore, fiori e giganteschi (ma davvero enormi) peluche.
Tutta questa inaspettata orgia consumistica ci ha spinto a goderci un po’ l’offerta di divertimenti cittadina. Così decidiamo di andare a giocare a bowling perché è veramente troppo economico per non farlo (meno di 1,2 € a partita, affitto delle scarpe compreso), e io non praticando da troppi anni ho perso contro il più esperto Gerard, ma senza sfigurare. Ma soprattutto ne approfitto per fare la prova anche del cinema nel Laos. Apparentemente i cinema erano del tutto spariti dalla capitale, ma i nuovi centri commerciali e l’intraprendenza dei esercenti thailandesi ha portato di nuovo un multisala a Vientiane. Non c’è molta scelta però, perché molti film sono doppiati o sono in lingua thailandese (che i laotiani capiscono abbastanza bene), così ripieghiamo su un blockbuster thailandese con i sottotitoli in inglese, un film su un leggendario atleta del Muay Thai, ovvero della boxe thailandese. E poi con il biglietto a 2,75 € è inutile fare gli schizzinosi! Il film, che ha come attore principale un vero campione di Muay Thai, è divertente soprattutto perché il pubblico in sala partecipa molto, un po’ come succedeva da noi qualche decina di anni fa.
Il secondo giorno ci avventuriamo al Buddha Park, che promette di essere altrettanto kitsch quanto i due templi contrapposti di Chiang Rai, in Thailandia. Si tratta di una sorta di parco a tema, e il tema sono Buddha e varie divinità induiste: enormi statue di cemento sono concentrate in uno spazio piuttosto lontano dalla città, tanto che con l’autobus ci vuole quasi un’ora per arrivarci. Ma ne vale la pena, soprattutto se ci sono scolaresche cinesi o sudcoreane in vacanza, con tanto di fotografo al seguito che le fa mettere in posa davanti alle statue in mille modi diversi e divertenti.
Rimanendo in tema di arte religiosa un po’ naïve, in centro c’è invece un tempio che è particolarmente frequentato, il Wat Simuang, con un complesso rituale che si svolge al suo interno per ottenere buoni auspici. Ma è all’esterno che si trovano dei veri pezzi unici!
C’è però anche un tempio che vale davvero la pena di visitare, l’ottocentesco Wat Sisaket, perché ospita degli affreschi davvero notevoli al suo interno, anche se sono difficilmente visibili al momento per un lungo lavoro di restauro finanziato da un’università tedesca e portato avanti con una certa libertà da restauratori (?) laotiani. Purtroppo le foto non si potevano fare, quelle che vedete sono tratte da un libro per darvi un’idea, ma se avessi potuto le avrei fatte ai restauratori al lavoro…
Ultima nota sulla capitale: c’è una grande offerta culinaria, anche internazionale, tanti bistrot francesi, bei caffè, anche un forno/pasticceria scandinavo, il primo europeo ad aprire qui, e perfino una grandissima churrascaria brasiliana che certo non mi aspettavo di trovare nella capitale del Laos.
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