Pur non avendo molto tempo a disposizione prima di partire da Phitsanulok cerco di uscire presto la mattina per vedere qualcosa della città, anche perché in fondo ci siamo rimasti a dormire due notti e mi sembra scortese non farlo!
La città è più che altro utilizzata come base per esplorare le tante cose da vedere nei dintorni, ma ha anch’essa qualcosa da offrire ai non molti turisti che vi si avventurano. Tre delle attrazioni sono a pochi passi di distanza, quindi mi dirigo subito lì. La prima è un museo che mi aveva incuriosito, il Sergeant Major Thawee Folk Museum. Secondo la guida si tratta del più interessante museo etnologico di tutta la Thailandia e c’è indubbiamente molto materiale, anche se io ho trovato l’esposizione molto confusa, nonostante i grandi sforzi di questo curioso sergente maggiore etnologo: c’è perfino una collezione di pesci di acqua dolce locali tenuti in acquari un po’ vecchiotti. Le cose che ho trovato più curiose sono la spiegazione dell’evoluzione della moda femminile e la sezione su particolari attrezzi di legno che servono per auto-praticarsi il massaggio thailandese, in modo applicare la giusta forza sui punti di pressione, anche quelli più difficilmente raggiungibili…
A pochi passi dal museo c’è il Garden Birds of Thailand, un altro progetto dell’instancabile sergente maggiore Thawee, che ha raccolto qui una serie di bellissimi esemplari di uccelli che popolano la Thailandia. Da un lato è vero che le varietà presenti sono molte e diversificate, e su tutti alcuni hornbills o bucerotidi davvero straordinari, dall’altro però la dimensione e le condizioni delle gabbie in cui sono tenuti lascia un retrogusto amaro in bocca, quello di aver sovvenzionato con il biglietto d’ingresso un posto che non sembra eticamente irreprensibile.
Per fortuna la terza attrazione nelle vicinanze, proprio accanto al Garden Birds, è la più interessante e probabilmente vale la camminata fino a qui dal centro. Si tratta della Buddha Foundry, un’attività privata che produce statue di Buddha ma che accoglie volentieri i visitatori che vogliono capire qualcosa di più del processo produttivo. Dopo Bangkok ho nel frattempo capito meglio come funziona il commercio delle statue: certo, c’è chi le compra per casa propria, ma nella maggior parte dei casi si comprano per donarle ai templi, in modo da garantirsi buoni auspici per sé o più spesso per un membro della propria famiglia. Qui si è liberi di curiosare tra le varie zone della fabbrica-fonderia di Buddha, osservando gli operai al lavoro. Le fasi sono sostanzialmente le seguenti: prima si crea una statua di cera utilizzando uno stampo e poi, a partire dal modello in cera ed aiutandosi con dei chiodini, si applicano vari strati di una mistura di acqua, sabbia e gesso; questa specie di mummia che si è ottenuta viene poi messa in un forno per far asciugare l’acqua, che viene quindi sostituita con il bronzo fuso; quindi è il momento della pulizia e delle decorazioni finali, con l’applicazione del rivestimento di sottili foglie d’oro. Durante la visita posso osservare tutte le fasi della lavorazione, salvo quelle della cottura e dell’inserimento del bronzo fuso che sono periodiche, e trovo tutti molto disponibili, pur con gli ovvi problemi di comunicazione. Certo forse aiuta essere l’unico visitatore presente!
Dopo la fonderia dei Buddha ho ancora un po’ di tempo e vado a vedere il Wat Phra Si Ratana Mahathat, dai locali abbreviato in Wat Yai, un tempio che contiene la seconda statua del Buddha più importante di tutto il paese, dopo il Buddha di smeraldo di Bangkok. Il tempio è così venerato che qui le regole usuali per la visita (togliersi le scarpe prima di entrare, vestirsi adeguatamente senza lasciare scoperte spalle o ginocchia, non sedersi puntando la punta dei piedi verso la statua del Buddha, non mettersi in posa per una foto davanti alla statua) sono qui applicate più rigidamente, e il visitatore è in più invitato a non rimanere in piedi ma ad inginocchiarsi o a sedersi, anche se si vuole solo scattare una foto. Detto che l’immagine della statua del Buddha di questo tempio è particolarmente conosciuta e venerata, tanto che la fonderia che ho visitato produce solo statue del Phra Buddha Chinnarat, per me la cosa più interessante è notare il via vai della gente nel tempio, il loro comportamento, le offerte con le banconote in bella vista, le richieste ai monaci, e ancor più tutto il mondo di commercio e vero e proprio mercato che c’è in parte dentro e soprattutto subito fuori il tempio.
Purtroppo non c’è molto tempo per godersi il grande mercato perché bisogna andare a prendere l’unico treno della giornata che ha un orario accettabile per arrivare a Chiang Mai, la nostra prossima destinazione nella Thailandia del nord. Il treno però è in ritardo di un’ora e mezza e così io e Gerard cerchiamo un posto dove pranzare e possibilmente passare il tempo con il refrigerio di un po’ di aria condizionata. Troviamo abbastanza vicino alla stazione un bel locale chiamato Host che si presenta come un mix di cucina thailandese e mediterranea. Pur nutrendo generalmente seri dubbi sulla cucina fusion entriamo, e i dubbi vengono ben presto fugati dalla qualità del cibo, che mangiamo in abbondanza. Il gestore è un ragazzo simpatico che parla un eccellente inglese, così essendo gli unici clienti ne approfittiamo per chiacchierare un po’. Scopriamo che ha lavorato per qualche anno in Turchia, e per questo l’elemento mediterraneo, ma anche in Australia, e per questo l’ottimo inglese. Il cibo è talmente buono e il tempo da far trascorrere talmente tanto che alla fine gli do fiducia per uno dei miei abituali esperimenti di viaggio: devo provare almeno una volta a mangiare la pizza in ogni paese che visito. Un po’ è pura e semplice crisi di astinenza, e un po’ è curiosità sui vari modi di cucinarla in giro per il mondo, con qualche scoperta inaspettata soprattutto in centro e sud America. E devo dire che l’esperimento qui non mi ha deluso, anzi: il gestore si è pure scusato con me, in quanto italiano, perché non poteva usare il basilico “giusto” ma doveva usare quello locale, che ha un odore diverso… in ogni caso pizza servita sul tagliere di legno, impasto discreto e l’aggiunta di una strana ricottina salata, oltre alla simil-mozzarella, che non ci stava niente male.
Il nostro “host” ci risolve pure un problema: preoccupati dell’arrivo in ritardo del treno a Chiang Mai, quando la reception del posto che abbiamo prenotato dovrebbe essere già chiusa, proviamo a chiedergli il favore di chiamare per avvertirli, visto che spesso l’inglese parlato nelle guesthouse è molto basico. Peccato solo che il numero che abbiamo risulti inesistente. Mentre io cerco di venirne a capo con una lunga e infruttuosa telefonata con il servizio clienti di Agoda (il sito di prenotazione alberghiere che qui nel sud-est asiatico ha tariffe spesso più interessanti rispetto ai vari Booking e compagnia), il gestore del ristorante riesce a scovare un altro numero su una pagina facebook e fa la telefonata per noi, avvertendoli del nostro arrivo in ritardo.
Allora è tempo di salire sul treno, che pur essendo il costoso “Special Train” con aria condizionata e pranzo caldo servito al posto, è decisamente più brutto e sporco del trenino di terza classe che percorre la Death Railway… Ma all’arrivo per fortuna ci aspetta la bella Chiang Mai, il cui clima rilassato e vacanziero ci avvolge appena arrivati, facendoci dimenticare in un attimo il lungo e poco confortevole viaggio.
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