Il primo viaggio che ho fatto, in Cappadocia, non ero ancora nato.
Non posso certo dire di ricordarlo, né di aver visto alcunché. Ma evidentemente qualcosa, un sapore, un profumo o forse solo un desiderio – una promessa?, deve essere rimasto impresso dentro di me, un me ancora in formazione, nella pancia di mia madre.
Il secondo viaggio che ho fatto, avevo solo tre mesi. Ho passato l’estate nel Cilento, nella casa al mare di mia nonna, e da Torino era comunque un bel viaggetto per un bebè, per quanto accompagnato.
Poi, per tante estati, ne sono arrivati altri. I miei genitori, entrambi insegnanti, avevano tante ferie e ne approfittavano per lunghe peregrinazioni lungo un’Europa ancora ricca di frontiere. Dormivano dentro una tenda che si apriva sopra la macchina, mentre io e mia sorella nell’auto, opportunamente attrezzata a letto da mio padre; più tardi, quando eravamo un po’ più grandicelli, in un’altra tenda, questa volta classica, sul terreno. Spesso c’erano altre macchine o camper al seguito – amici, colleghi, parenti – e quindi il sapore era quello di vere e proprie spedizioni. Ricordo bene questi viaggi in Sardegna, Grecia, Francia, Inghilterra, Scozia, Austria, Olanda e Germania (che era ancora Ovest). Non erano esattamente terrae incognitae, ma per me bambino erano ugualmente grandi avventure, attese per tutto l’anno. E il mio momento di gloria arrivava quando, seduto nel classico posto del navigatore nella macchina di testa, sfruttavo la mia grande passione per le cartine e le mappe ed ero proprio io, bimbo di 8 o 10 anni, a dettare la strada per tutta la carovana. Era la mia occasione per dimostrarmi adulto. In fondo si rivelava un vero e proprio potere, la conoscenza e padronanza della cartina: orientarmi alla perfezione sul quel mondo bidimensionale era un modo per dare ordine a quello esterno, molto più complesso, con tutto il suo inebriante carico di odori, sapori, lingue e colori sconosciuti.
Da piccolo mi è capitato qualche volta anche di viaggiare da solo, soprattutto in treno. Io non avevo paura, e i miei, stranamente, nemmeno. Altri tempi, certo, e genitori molto moderni o molto incoscienti. Uno in particolare lo ricordo in maniera vivida: un viaggio su un treno delle ferrovie Appulo-Lucane da Bari a Matera. Andavo a trovare mia zia che viveva lì e a 9 anni quel tragitto breve, complici il paesaggio e un treno-giocattolo che ci mancava poco fosse ancora a vapore, aveva il sapore di un viaggio in diligenza nel selvaggio West: guardando fuori dal finestrino non mi sarei sorpreso di veder spuntare le sagome minacciose e ululanti di indiani a cavallo.
Il primo vero viaggio da solo è stato però a 15 anni: due settimane a Londra con il mio amico Luca, a casa di una signora dai mille gatti che ospitava turisti e un campionario di varia umanità nelle stanze al piano superiore della sua tipica casetta inglese. Erano gli anni ’90, non c’erano ancora né internet né i cellulari, e quindi per non far stare in pensiero i rispettivi genitori l’accordo era che avremmo chiamato una volta ciascuno, a giorni alterni. Basta anche una telefonata veloce, ci avevano detto. Allora noi l’accordo l’abbiamo rispettato alla lettera, con l’accorgimento di usare ogni volta, dalla cabina pubblica, un solo gettone, che ci dava diritto a circa 10 secondi di “conversazione”: più o meno il tempo di dire Ciao-sono-Andrea-qui-tutto-bene-oggi-piove-avverti-anche-i-genitori-di-Luca-che-stiamo-bene, senza ovviamente diritto di replica.
Poi la questione non è più stata “se” ma solo “quando” e “quanto” viaggiare, e “come” poterlo fare sempre di più. Ci sono voluti viaggi di gruppo, da solo e in coppia, viaggi di un fine settimana o viaggi di due mesi, in treno, autobus, aereo o a piedi, ci sono voluti centinaia di viaggi immaginati, sognati, letti o ascoltati. Alla fine però, come uno scrittore che trova la sua voce o un musicista che trova il suo sound, il bravo Promesso Viaggiatore trova il “suo” modo di viaggiare, e soprattutto capisce che è inutile accampare scuse, rimandare, razionalizzare: è quello che deve fare, punto.
D’altra parte le promesse bisogna mantenerle. A maggior ragione quelle nei confronti di se stessi.
Questo blog vuole raccontare le storie che si dipanano dal giorno in cui ho abbandonato ogni resistenza di fronte a questa promessa, una promessa non pronunciata e non cosciente, ma evidentemente iscritta nel mio DNA. Non sto partendo per un giro del mondo a piedi, né per la circumnavigazione del globo, né ho prenotato a caro prezzo un posto su una navicella spaziale (anche se mi piacerebbe): ma da oggi il viaggio sarà il centro e non la periferia, e spero di incontrare tante storie degne di essere raccontate, lungo il cammino.
Ci saranno consigli, foto e video, naturalmente, ma vorrei che a popolare la cartina muta di questo viaggio ci fossero soprattutto storie e incontri. Altrimenti non sarebbe poi così diverso rispetto alle telefonate da 10 secondi che facevo da Londra!
Ogni commento è benvenuto, e vi aspetto tutti ad un prossimo crocicchio.